Architettura e Arte: tra Pittura e Scultura
Architettura e Arte:
tra Pittura e Scultura
di Antonio Scelsi e Ferdinando Maria Tempesta
Elisa Montessori
Nata a Genova, vive e lavora a Trastevere, Roma, dove ha il proprio studio. Ha sviluppato un interesse per la pittura fin dalla tenera età. Nel 1953 si laurea in Lettere e Filosofia presso l'Università La Sapienza. Dopo il diploma si forma nello studio di Mirko Basaldella, a diretto contatto con il Gruppo “Origine”: Colla, Burri e Capogrossi. Insieme a Mirko Basaldella inizia a sperimentare tecniche come la pittura a tempera, la ceramica, la lavorazione dell'oro e l'incisione. Nel 1955 Elisa Montessori incontrò l'ingegnere della Olivetti Mario Tchou, presto si sposarono e ebbero due figlie. La loro casa in via Cappuccio a Milano è stata progettata dall'architetto Ettore Sottsass. Dopo la prematura scomparsa del marito, nel 1961, ritornò a Roma. L'incontro con la cultura cinese segnerà in modo irreversibile il suo percorso artistico. Raffinati nel simbolismo e nella composizione, gli studi della Montessori rivelano l'influenza di due mondi: la ricchezza della cultura occidentale e la natura più simbolica e nascosta della cultura orientale.
Da giovane venne a Roma, dove in ambiente artistico frequentò Afro, Cagli e Mirko. In quel periodo di conflitto tra astrattismo e figurativismo visse in una posizione marginale perché la sua espressione non apparteneva a nessuna delle due tendenze. L'isolamento fu una costante nel percorso artistico della Montessori, non essendo mai stata inserita in una corrente o in un gruppo, e fin dal periodo di inizio della sua carriera, questa scelta la penalizzò addizionandola alle già precarie considerazioni che poteva ricevere in quanto donna-artista del periodo. Ciononostante non le mancano l'attenzione da parte della critica e la partecipazione a mostre importanti come la Quadriennale di Roma, la Biennale di Venezia e la Biennale di San Paolo in Brasile.
Lei racconta che fin da bambina, l’amore e la pratica del disegno erano una costante delle sue giornate ed è proprio da ciò che si sviluppa il suo modo di esprimersi il suo animo da artista. È il segno che rimane nel tempo l’elemento essenziale del suo fare. L’altro elemento protagonista nella composizione è il rapporto con lo spazio del foglio o della tela, che è sempre bidimensionale. Tutto avviene sulla superficie della tela, non c’è profondità, non c’è idea di spazio prospettico.
Entrando nel suo studio a Via della Lungara, dinnanzi ai lavori che escono da armadi, cassetti, rastrelliere, si è colpiti dalla coerenza di un lungo percorso denso e sfaccettato, a tratti interrotto dagli eventi della vita, eppure impossibile da considerare discontinuo. A partire dagli anni Cinquanta, Elisa Montessori fa uso di linguaggi e tendenze stilistiche diverse, utilizzando una cifra minimale tra astrazione pura e evocazione figurativa, senza mai assoggettarsi ad una tendenza, un movimento, una moda. La sua è la storia della costruzione di un linguaggio indipendente, seduttivo, forte, generante e al contempo un percorso di emancipazione femminile basata su una libertà creativa e politica che non ha mai creduto in una differenziazione di genere inscritta nella definizione di un immaginario e di uno stile ma piuttosto nel diverso modo di osservare, relazionarsi e tradurre la visione. La poetica di Elisa Montessori parte proprio dall’atto del guardare e rapportarsi con il mondo in quanto corpo e sguardo, rifacendosi alla prima scrittura della mano, compulsiva, libera, a tratti violenta, che porta a riprodurre non ciò che si vede dinnanzi a sé ma ciò che si conosce. Una mano che sa più dell’occhio, con una memoria che non traduce la realtà ma registra l’esperienza. Il segno, come lo sguardo, è un’incisione in costante trasformazione e quello di Elisa Montessori è un tratto cumulativo e sottrattivo, che spinge, avanza, sposta l’orizzonte sempre più lontano. Cattura le linee interne delle cose e fissa le relazioni tra di esse, da qui l’importanza delle forme stagliate contro un fondo che rappresenta l’ignoto, che danno spazio alla metamorfosi.
Giovanna De Sanctis Ricciardone
Giovanna De Sanctis Ricciardone si laurea presso l’università di Architettura “Valle Giulia” di Roma negli anni '60. Alla metà degli anni ‘70 però decide di abbracciare un nuovo mondo aderendo all'associazione culturale “Il Politecnico”: uno spazio ideato a favorire confronti artistici e non solo. Qui assume il ruolo di artista e responsabile del dipartimento di arti visive, ruolo che ricopre per circa un ventennio. Successivamente, nel 1992, si trasferì in un piccolo paese della bassa Umbria per fondare il proprio studio, Progetto-Arte, un luogo più adatto alla scultura-progettuale che stava sperimentando ed attuando in quegli anni.
Durante tutto il periodo della sua vita, la ricerca del proprio spirito profondo non è mai mancata, quello spirito profondo che coincide con la passione ed allo stesso tempo con una profonda sofferenza, e che come afferma la stessa artista sono necessarie al fine di “generare un’immaginazione visionaria attiva e creativa” indispensabile per far nascere un Pro-Getto, “non solo dal punto di vista architettonico, ma in tutti i sensi del vivere umano”. E ancora “L’immaginazione creativa deve venire da uno sguardo rivolto verso la nostra anima, verso le passioni che si nascondono dentro di noi”.
L’artista continua poi a spiegare come quest’immaginazione creativa può nascere senza la mera imitazione delle immagini a cui siamo costantemente sottoposti, e la risposta che propone è l’interessantissima questione degli Archetipi, che ognuno di noi ha al l’interno del proprio animo e che prima o poi si manifestano. Gli archetipi persistono nonostante tutto ciò che ci accade intorno, nonostante tutto ciò che apprendiamo ed anche a qualsiasi nostra possibile lettura razionale del mondo, essi possono essere scoperti soltanto mediante l’autoanalisi, momento indispensabile che nel caso mancasse porterebbe ad una forte mancanza di identità del soggetto, oggi più che mai deleteria.
Per la De Santis un archetipo fondamentale è il “Kosmos” che racchiude le forze cosmiche che tendono a schiacciare l’essere umano, che però ha il bisogno di comunicare con esse. Ovviamente nel corso della vita artistica, questo suo archetipo viene riproposto più volte partendo dai basici principi della scultura e dell’architettura (menhir e dolmen) ed arrivando alle sue prime composizioni artistiche della rappresentazione di queste forze.
Questa filosofia viene sempre più sviluppata con il passare del tempo, arrivando a definire completamente le sue opere scultorie in cui il fine ultimo diviene sollevare la massa, combattere la spinta gravitazionale e giocare con il baricentro del blocco “non mi arrendo alla gravità”. Si inizia da qui il progressivo avvicinamento dell’artista all’amore per il barocco e soprattutto per Bernini, passando però attraverso la concezione che lo spazio-tempo influenza la nostra immaginazione.
Il percorso artisticamente spirituale dell’artista fin ora descritto culmina nell’opera “Trafissioni”, un immagine classica, quella di San Sebastiano, rivisitata con l’elemento delle frecce trafiggenti che si trasformano in forze che sorreggono la massa (cioè il santo), “frecce come materializzazione delle forze […] il corpo, le masse, noi siamo sottoposti alle forze che ci trafiggono, siamo continuamente trafitti, viviamo nella trafissione”. Questa opera segna anche un punto di svolta per l’artista che da qui in avanti abbraccia il Barocco, cercando di sdoganarlo dalle consuete definizioni che leggiamo negli scritti, attraverso le opere del Maestro Bernini sul quale afferma “Soprattutto nella scultura egli rompe veramente con il classicismo”.
Inizia così uno studio appassionato dei panneggi del Bernini, elemento con il quale egli “libera la forma e la avvia verso il cielo, quasi mossa dal vento, nell’instabilità delle sue sculture agitate e contorte”. Da qui in avanti il barocco viene descritto come visionario, precursore delle ricerche scientifiche e dell’eliocentrismo (tutto il contrario dell’uso “materiale” che venne fatto del barocco dalla chiesa). Successivamente a tutto questo l’artista non lascerà mai più i la sua rivisitazione del barocco, continuando a studiare, comporre masse, sperimentare le pieghe dei panneggi, le estasi del Bernini l’immagine del caos cosmico, l’intuizione di uno spazio curvo e il fantasma del femminile.
In molte mostre l’artista è riuscita ad esporre questo suo movimento del “Barocco, rivissuto nel contemporaneo” come ad esempio nella mostra a Terni del 2007 dall’evocativo nome Barock.
La sua vita artistica è stata inoltre pesantemente segnata dalla formazione di stampo architettonico ricevuta all’università, e durante la sua carriera ha spesso ricercato l’arte nell’architettura e spesso inserito opere artistiche in progetti specialmente dal 1992 in poi dopo aver aperto il suo studio Progetto-arte scavando e ricercando l’inserimento degli oggetti artistici all’interno degli spazi generati dall’architettura, come la scultura Nike inserita negli spazi antistanti il nuovo palazzo di giustizia a Palermo. Questo concetto a nostro parere richiama fortemente Cesare Brandi, che nella sua Teoria del restauro, richiama lo spazio e la luce intorno all’opera d’arte come facenti parte dello stessa anima, e non fermandosi ai semplici confini materici di cui è composta, nel nostro caso la scultura.
Negli ultimi anni della sua lunga e proficua carriera Giovanna De Santis Ricciardone come il persorso della Auto-Meta-Morfosi, uno “scavo archeologico di se stessa” per ripercorre nella memoria e nella narrazione metamorfizzata il suo lavoro e poterlo trasmettere al futuro.
Domanda per la Montessori:
In una sua intervista lei parla della metamorfosi come insita nella natura umana e nella natura in cui viviamo, arrivando ad affermare che il tempo e lo spazio intorno a noi cambiano sempre e noi questa percezione della metamorfosi raramente la consideriamo come fatto essenziale della nostra vita. Questo ci ha fatto pensare ad un caos di cui non ci accorgiamo. Come riesce a rappresentare nelle sue opere questo continuo cambiamento, questa metamorfosi? Inoltre lei è stata ed è vicina all’architettura sia per motivi personali che artistici, come si potrebbe trasmettere tutto ciò in un progetto architettonico? Pensa che ci siano già degli esempi o addirittura degli architetti che già lo hanno fatto?
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